giovedì 16 ottobre 2014

Sherlock Holmes e il misterioso caso di Ippolito Nievo

Il caso più difficile della sua carriera, Sherlock Holmes proprio non se lo aspettava. Sollecitato dal fido Watson, era pronto a occuparsi perfino di qualche volgare ladro di polli, con i creditori alla porta, e le finanze della coppia di amici che non scoppiano di salute. Ma la sorte ha condotto nel loro studio una cliente: una ragazza italiana imparentata alla lontana con lo scrittore Ippolito Nievo, scomparso molti anni prima assieme a una valigia di documenti riservati. L'intrepida discendente è convinta che sia caduto vittima di un attentato, e ci sono poteri forti che tramano per metterla a tacere. Holmes non può che accettare l'incarico, inoltrandosi nelle fitte nebbie di un mistero legato agli intrighi politici di un paese straniero.


Presentato dal suo autore Rino Cammilleri (1950) come un romanzo quasi storico, in realtà viene da chiedersi come mai abbia scelto di utilizzare Holmes e Watson per raccontare questa avventura che non spiega il mistero della misteriosa morte di Ippolito Nievo e che narra invece del furto della Sindone, di massoneria, di Beati Paoli e altre sette discorrendo. Holmes è dipinto come un antipatico saccente che cita ripetutamente se stesso, maltratta Watson e inanella numerose figure poco edificanti senza risolvere alcunché. Watson invece è un povero frustrato che prova un profondo astio per Holmes, ma ne sopporta la compagnia e accetta di essere il suo fedele cagnolino solo perché altrimenti la sua vita sarebbe stata vuota. Peccato che (per sua stessa ammissione) ogni volta che apre bocca spara cavolate immani, dimostrando tutti i suoi limiti. Delle macchiette. Peccato che non ci troviamo di fronte a una parodia, sembra più semmai che l'autore con ferocia cerchi di demolire l'immagine di Holmes e Watson.
I due vengono trascinati in una serie di eventi (a mio parere alcuni davvero senza senso) senza una vera indagine, senza una soluzione di un mistero, con personaggi reali messi a forza in una trama che non avrebbe necessitato tali forzature: Don Bosco fa la parte del leone, ha un grosso ruolo e addirittura fa abbassare lo sguardo a Holmes più volte. Senza mettere in discussione una figura così importante, la domanda che mi pongo è: era proprio necessario? La risposta è sì, perché l'autore vuole
dimostrare che nulla è più potente della religione cattolica romana, i cui misteri richiedono solo un approccio di fede e una speranza incondizionata nella Provvidenza. Una Crociata (piuttosto anacronistica) contro la ragione e il Protestantesimo.
Un libro che non consiglio a nessuno, né agli sherlockiani né agli amanti del romanzo storico.

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