mercoledì 30 settembre 2015

L'ultimo caso di Sherlock Holmes

Il 16 febbraio 1926, John Herbert Watson, dottore in medicina, meglio noto a milioni di persone come il 'dottor Watson' dei racconti di Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle, morì per le lesioni riportate in una caduta nella sua casa nei pressi di Lyndhurst, nell'Hampshire. Aveva settantatre anni. Quando venne letto il suo testamento, si scoprì che in un codicillo aveva lasciato istruzioni affinché una cassa contenente diversi documenti venisse affidata in deposito alla sua banca per un periodo non inferiore a cinquant'anni, al termine dei quali la cassa avrebbe dovuto essere aperta e il suo contenuto reso pubblico. Ma perché Watson non vuole che il manoscritto contenuto nella cassa, che narra l'ultima avventura di Sherlock Holmes, non sia pubblicato fino al 1976? Londra, molti anni prima, nel 1888, era stata scossa dalla famosa serie di omicidi di prostitute il cui autore, soprannominato Jack lo Squartatore, rimase sempre sconosciuto. Watson racconta che nelle indagini, in aiuto alla polizia che non riusciva a sciogliere l'enigma, fu chiamato Sherlock Holmes... Qual è dunque il mistero che Watson voleva svelato solo nel 1976 e, soprattutto, chi era Jack lo Squartatore?


La vicenda inizia con l’invito del solito ispettore Lestrade ad assistere la polizia nell’indagine per gli omicidi seriali compiuti da Jack lo Squartatore. Sorpreso nel bel mezzo di una delle sue crisi di noia esistenziale che soltanto la cocaina può alleviare, Holmes  accetta la sfida con entusiasmo, riconoscendo in Jack un fuoriclasse del crimine, malvagio ma geniale: in un certo senso un suo pari. Andando avanti con la trama, infatti, ben presto Holmes ritiene che dietro questi omicidi ci sia in realtà la mente geniale di Moriarty. La partita fra il criminale e il detective si snoda nei vicoli di Whitechapel, seguendo fedelmente tutto quanto la polizia appurò sui movimenti e sugli eventuali moventi dello Squartatore. Michael Dibdin  incastra con grande abilità realtà e finzione, riuscendo anche a collegare casi del Canone, fino a condurre Holmes e Watson là dove tutto, secondo l’intenzione originale di Conan Doyle, avrebbe dovuto avere fine: alle cascate di Reichenbach. Qui Doyle, semplicemente ACD, è l’agente letterario di Watson, colui che “ricama” un po’ sui resoconti di Watson per renderli adatti a una pubblicazione. Fino a qui siamo di fronte a un romanzo decisamente ben scritto, ben documentato, arricchito da piccole chicche come questa che lo fanno apprezzare ulteriormente, ma a un certo punto cambia totalmente la prospettiva, e assistiamo a uno sdoppiamento della personalità da parte di Holmes: è lui Moriarty, è lui lo Squartatore!
Il colpo di scena si rivela davvero un boccone amaro da digerire, e fino all’ultima pagina si spera che non sia vero niente, ma Dibdin non mostra pietà e arriva a far suicidare Holmes, che si getta nelle cascate di Reichenbach durante un momento di lucidità, per non far del male a Watson.
Perché dico che Dibdin non mostra pietà? Perché non ho potuto fare a meno di notare alcune forzature, atte a inchiodare Holmes a una colpevolezza e a un finale tragico.
Innanzitutto mette Watson nelle condizioni di assistere all’omicidio di Mary Kelly (e con una pistola in tasca): perché Watson non irrompe nella stanza in cui vede Holmes all’opera? Il vero Watson l’avrebbe fatto…
Perché Holmes cerca in tutti i modi di sbarazzarsi di Watson quella notte? Dunque agisce consapevolmente, non in seguito a uno sdoppiamento della personalità, o a seguito di assunzioni di cocaina... Eppure il finale sembra in contrasto con questa tesi: egli crede davvero di avere davanti Moriarty!
Inoltre: l’autore mette in bocca a Watson che Holmes avrebbe potuto dissezionare i cadaveri alla maniera di un chirurgo, ma ciò è palesemente inesatto… Sherlock Holmes non ha mai avuto le nozioni (e soprattutto la pratica) di un chirurgo, e percuotere i cadaveri con un bastone non è certo la stessa cosa!
Di tutto questo, nonché l’assurda idea che un detective privato possa addirittura decidere i turni di pattugliamento dei poliziotti di Scotland Yard (!), l’autore si è servito per rendere Holmes un cocainomane con gravi disturbi della personalità, e quindi l’autore materiale di orribili delitti. Forse come idea di base può essere geniale (anche se non condivisibile), ma siamo molto lontani dalla Soluzione sette per cento e il risultato è solo indigesto, “eretico” per alcuni. Avrebbe potuto tirare fuori dal cilindro una soluzione nelle ultime pagine, scagionando Holmes e mettendo in campo Moriarty, ribaltando ulteriormente la prospettiva nel finale, e allora sì che il risultato sarebbe stato geniale e apprezzabile da tutti i fan di Sherlock Holmes, ma così non mi sento di poterlo consigliare a un purista per cui Holmes è non un eroe, ma comunque il “buono”.
Scritto nel 1978, è stato stampato in Italia per la prima volta nel 1991 (Libreria del Giallo) col titolo L’ultimo caso di Sherlock Holmes, mentre l’ultima ristampa ha per titolo L’ultima avventura di Sherlock Holmes (Passigli Editore).

Nel fuoco

Durante gli scavi per una nuova costruzione vicino al vecchio cimitero di Roaring Fork, nel cuore delle Montagne Rocciose, affiorano i corpi di un gruppo di minatori uccisi e divorati da un grizzly un secolo e mezzo prima. Corrie Swanson, aspirante detective e protetta dell’agente dell’FBI Aloysius Pendergast, è la prima ad arrivare sul posto per analizzare gli scheletri. Parrebbe un sopralluogo di routine, ma ben presto viene alla luce una verità scomoda sul passato della città che mette la ragazza nei guai con le autorità locali. In suo aiuto accorre l’agente speciale Pendergast, che si ritrova invischiato in un’indagine parallela: poco dopo il suo arrivo, Roaring Fork si trasforma nel teatro degli attacchi di un piromane che appicca incendi senza una logica apparente.
Indagando più a fondo e sfruttando tecniche non sempre ortodosse, Pendergast scoprirà collegamenti inaspettati tra la storia di Roaring Fork e quella della letteratura, ritrovandosi sulle tracce di un manoscritto inedito di Sir Arthur Conan Doyle: un’avventura di Sherlock Holmes che potrebbe aiutare a far luce sulle indagini…



Il romanzo, scritto a quattro mani da Douglas Preston e Lincoln Child, si apre con un prologo, che narra della famosa cena (realmente avvenuta) tra Doyle, Oscar Wilde e Joe Stoddard, durante la quale venne commissionato a Doyle Il Segno dei Quattro. Durante la cena, Wilde racconta a Doyle una terribile storia narratagli da alcuni minatori americani riguardante Roaring Fork: Doyle si rifugia in bagno, disgustato dalla raccapricciante storia.
La scena si sposta ai giorni nostri, e la protagonista diventa Corrie Swanson, aspirante detective alla ricerca di materiale interessante per una tesi, e si imbatte nella storia narrata da Wilde a Doyle, undici minatori divorati da un Grizzly a Roaring Fork intorno al 1876. L’occasione per Corrie è troppo ghiotta, così si reca in gran fretta a Roaring Fork, località sciistica per ricchi, per indagare, non prima di aver avvisato l’agente dell’FBI Pendergast, suo buon amico. Ma la ragazza e giovane e imprudente, e si mette nei guai. Per sua fortuna arriva Pendergast a darle una mano, ma contemporaneamente un serial killer decide di scatenare la sua follia accanendosi sulla popolazione di Roaring Fork, uccidendo e appiccando incendi. Andando avanti con le indagini, affiora che probabilmente Doyle sapesse la verità riguardo gli undici minatori uccisi dal Grizzly, e che ne abbia fatto menzione da qualche parte, forse addirittura in un racconto di Sherlock Holmes mai pubblicato! Dopo varie peripezie Pendergast ritrova il manoscritto perduto, che farà luce sugli eventi del passato e del presente.
Ecco, dunque, la storia nella storia. Un’indagine inedita di Sherlock Holmes, alle prese con un misterioso lupo che ha ucciso due uomini e si aggira nel bosco nei dintorni di Aspern Hall. Nonostante l’arrivo di Holmes, avviene un terzo omicidio, ma del fantomatico lupo ancora nessuna traccia. Ricorrendo a uno stratagemma per stanare il colpevole, Holmes riesce a smascherare l’assassino e a fare luce sulla terribile verità.
Il racconto nel racconto non è un espediente nuovo in letteratura, soprattutto quando si parla di Sherlock Holmes, ma se ben riuscito è sempre affascinante. La trama principale da un lato vede un serial killer piromane, ma dall’altro vede la ricerca affannosa della verità riguardante i fatti del 1876, che passa attraverso il ritrovamento nientemeno che un racconto inedito di Sherlock Holmes. Tutto sommato il risultato è apprezzabile, la lettura scorre piacevole e soprattutto c’è la voglia di seguire gli sviluppi della vicenda, e “l’inedito” è anch’esso un piacevole racconto apocrifo. Il romanzo è uscito in Italia nel 2014 ed è disponibile in formato cartaceo o ebook (Rizzoli).